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Steve Bisson - Orizzonte corale

date » 12-10-2022 10:10

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tags » steve bisson, fotografia, veneto, corale, visione, serena, inquietudine, territorio, venezia,

Orizzonte corale e fraintendimento consapevole
di Steve Bisson


Articolo apparso all'interno della rivista #01




© Marco Vedana - Tra dirupi inverosimili e memorie sospinte - 2021


Per mezzo della fotografia, quale lente di ingrandimento per osservare e ricostruire una geografia sempre più antropomorfa, umanizzata. Un'attitudine trans-individuale che riconosce fondamento al sapere comune, all'unità degli sguardi, al pensare in rete di oggi. E sulla rete che gravita infatti l'intenzionalità di Giovanni Cecchinato e Alessandro Angeli che qui mi invitano ad una riflessione sommaria sulle pratiche collettive di indagine o appropriazione visiva del territorio, e nella quale prende corpo lo spazio poliforme e trasparente della condivisione. Pratiche dinamiche dello stare insieme, sentieri distinti nella forma, nel metodo e attitudini ma resi simili da una volontà di comunione. Che volendo può sedimentare altrove, ad esempio nell’esposizione in dialogo, in un catalogo sintetico, nello stare di nuovo ma fisicamente, come musicisti pronti a esercitarsi non nel proprio assolo bensì in un insieme accorto.
Anche da questa premessa, va letta la raccolta di immagini scelte in questa rivista. Ovvero e inoltre, nel bisogno di congiunzione, di ensemble miscellaneo, di pluralità come soggetto e attore della complessità. In questa volontà di collaborazione che filtra attraverso la superficie operativa del vedere, mediante un esercizio di espressione simbiotica la cui risultante, nel caso specifico, sono altrettante cognizioni sul paesaggio. Quello veneto. Acquisizioni di consapevolezza, conseguimenti personali che scaturiscono da un bisogno di dialogare con l’ambiente ancora prima che nel generare dati, che concorrono, senza per forza convergere, su un agire più ampio. Vedere quel che si fa includendo nell’indagine sé stessi e il proprio operare (con gli strumenti che usiamo e che ci formano e generano) con luminosa accettazione della trama inesorabile di cui siamo parte e di cui è parte il nostro muoverci, tutto e tutti assieme, nel mondo.
Mutuando suddette considerazioni su un piano algebrico, di spazi stiamo parlando, ogni contributo figura come equazione: ciascuna con le sue incognite da risolvere. E il fotografo diviene un vettore che manifesta una traiettoria più o meno feconda nello spazio, e interpretabile con una funzione, sebbene non sempre oggettiva, dei luoghi. Qui si rinviene allora una prima utilità per la ricerca associata alla fotografia intesa come comprensione anziché impressione. Quando poi lo sforzo da compiere è verso un orizzonte collettivo occorre esulare dalla grandezza o magnitudine vettoriale del singolo progetto. Se infatti i lavori presentano un comune denominatore possono essere apprezzati come spazi topologici in cui avvisare proprietà fondamentali e ricorrenti. Possiamo definirle forme di continuità talvolta fisiche, logiche o percettive.
A partire da tale domanda di senso, che si sostanzia nel racconto corale senza il quale non vi è trasmissione e nemmeno dimostrazione di sapere, si gettano le basi per una diversa cartografia del pensiero. Ciò esige nuova prassi geoscopica, con i piedi a terra e la coscienza vigile. Una capacità di ascolto, rappresentazione e integrazione responsabile del mondo delle differenze, altresì culturali, che riguardano tutti i corpi viventi e il loro modo di intendere. E poichè tanti sono i discorsi per immagini resi possibili dai progressi della tecnica e non tutti interpretabili da un metodo scientifico, per la loro intrinseca soggettività e imprecisione, allora urgono soluzioni per oltrepassare lo scoglio delle verifiche di obiettività empirica sulla via comune della conoscenza. Le pretese di veridicità hanno riguardato a lungo anche il dibattito della fotografia, rivelatosi poi un girotondo di parole. Di fatto i luoghi esistono ma sono pur sempre mentali, o meglio filtrati dai nostri dispositivi ottici e neurali, oltre che dai vissuti personali, emotivi. La lettura sui territori domanda perciò una vocazione inclusiva. In primis del noi stessi, non ci muoveremmo altrimenti se non per soddisfare bisogni primari. Saremmo l’ambiente, senza alcuna distanza, come per gli animali, senza necessità di trovare senso al nostro esserci, al nostro avere l’ambiente come altro da noi.
Dunque vale la pena riconoscere dietro l’immagine-trascrizione della realtà riproducibile, il movimento, la danza, la strategia, i corpi, insomma la vita di coloro che scritturano il cosmo per istantanee. E siamo sempre di più. Uno sconfinato “corpo di ballo” che inscena una gigantesca, vertiginosa e straordinaria possibilità di relazione e di fraintendimento consapevole su ciò che di ovvio ci circonda. Un’opportunità per accorgersi diversamente delle cose di cui è fatto il fiume eracliteo del divenire. Un muro, un recinto, una strada, una diga, un canale, una fabbrica, una chiesa, un quartiere, una città, una regione. Segni prodotti da gesti che occupano e marcano i territori. E che appaiono agli occhi diversi, infinite occasioni, perché ciascuno di noi lo è. Allora il fotografare può essere un modo per lasciarsi alle spalle scorie, tentativi e abbordaggi visivi di apprendimento, oppure per fare luce sulle ragioni nascoste, sulla vita anonima che si agita dietro le maschere del mondo. E farlo con una postura di serena accettazione dell’ospite inquietante come l'ossimoro che titola il progetto editoriale in questione.




© Paola Montagner 2021 Laguna di Venezia (VE)


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