Sheila Bernard - Radure
Il progetto Radure muove da uno studio linguistico sui processi cognitivi dell’attenzione e sulla conseguente emersione (ingl. emergence) del significato.
La radura è ‘ciò che si fa rado’ e, con accezione più specifica, un diradamento del bosco.
Il risultato, ma talvolta anche l’origine, del diradarsi del bosco è l’ingresso della luce nel buio e, verticalmente, l’ingerenza del cielo sulla terra. Per i Latini il lucus, la radura sacra, è lo spazio del cielo nella silva.
L’etimologia dell’italiano dio racconta inoltre di un pantheon indoeuropeo e dell’affinità con i termini diurno, celeste (qui, ‘del cielo’) e splendore: per gli indoeuropei inizialmente il dio fu la luce. Nel Ṛgveda, i versi più poetici sono dedicati alle personificazioni dell’aurora e del tramonto, Uṣas e Sandhyā, le quali creano un’articolazione, una connessione (scanscr. bandhu, ingl. bond) tra manifesto e immanifesto.
Prima di qualsiasi altra narrazione, si raccontò di come la luce tornasse ogni giorno dopo l’inconoscibilità delle tenebre. Ancora prima della narrazione, era solo la percezione non cosciente di quel ritorno prefissato, fatale, indipendente da ogni atto di volontà dell’uomo, un pattern che solo in seguito arrivò alla consapevolezza, e alla credenza che si potesse forse ammansire con un correlativo rituale.
Preparare il luogo per il rito significa per l’officiante predisporre uno spiazzo, fare radura, spazzare via i resti del cerimoniale precedente, ‘come una casalinga ossessiva’ racconta Roberto Calasso in Ka: fare luce e ordine insieme (cfr. l’inglese clearing, ‘radura’, ma anche fare chiarore o chiarezza, rendere vuoto e luminoso, ordinato e trasparente).
L’atto di configurare uno ‘spazio libero dalla silva’ è in questo senso archetipico, ed è paradigmatico perché al contempo informa la nostra percezione del territorio antropizzato e fa leva in modo non del tutto conscio su quell’originario altalenare di luce e buio da un lato, e tra natura (primigenia) e cultura (l’insediamento umano nella natura) dall’altro.
In senso cognitivo, la radura è informativa perché nuova e, meglio, costantemente rinnovata: il suo significato è sempre trasparente ma va recuperato intenzionalmente ogni volta che il bosco la invade.
Per il suo carattere di impermanenza, essa deve venire ricreata di continuo, nell’incessante ripetitività dei gesti che servono alla sua conservazione: grazie a questa caratteristica di ritualità, è sempre una ‘radura del sacro’, che si tratti di un’area libera o di un primo fondamento per lo spazio architettonico.
È allora ierofanica: emerge, è immediatamente percepibile, si mostra subito per quello che è, ed è sacra nel suo congiungere mondi, è una terranea affordance del cielo.
L’appiglio metaforico del terreno non boscato diventa l’oggetto e la modalità privilegiata di questa indagine, condotta nella vallata della Piave e nella media montagna della Provincia di Belluno.