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"Memorie,Sentieri, Vajont" - Due giornate di studio

date » 29-05-2024

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tags » cecchinato, battistella, oddone, geologia, fotografia, studio, vajont, erto, frana, diga, fotografi, belluno, longarone,

Memoria, sentieri, Vajont

25 e 26 maggio 2024
La serena inquietudine del territorio
Due giornate di studio sui territori della tragedia del '63
Qui il bando per chi voleva partecipare


Sulla frana del Vajont - © G. Cecchinato 2024


Uno degli obiettivi de “la serena inquietudine del territorio” che ci siamo prefissati di raggiungere, riguarda lo sviluppo e la ricerca in fotografia, sopratutto per ciò che riguarda l’analisi dei territori veneti.
Se da un punto di vista, con il magazine che produciamo assieme all’aiuto di Alessandro Angeli ed il supporto dell'Ordine degli Architetti di Venezia, diamo visibilità ai progetti di autori vari che si impegnano a raccontare il Veneto; dall’altra cerchiamo di trasmettere un metodo ed una modalità di fare fotografia che riteniamo consona alla nostra contemporaneità.

Ci sembra che, per migliorare queste sensibilità, viene utile divulgare il confronto, gli incontri e la cultura fotografica assieme all’apprendimento di nuove materie collegate, per cercare di sviluppare al meglio nuovi progetti di indagine.


Polaroid su roccia di frana - © Ketty Domesi 2024



In queste due giornate di studio nella zona di Longarone abbiamo guardato assieme e con stupore lo svelarsi magico delle ere geologiche tramite l'aiuto e la competenza di Emiliano Oddone (geologo di Dolomiti Project e consulente Unesco), che ci ha fatto capire il perchè, assieme ai vari passaggi evolutivi, si è arrivati alla tragedia. Non tramite le storie degli uomini, colpevoli di avidità e ricerca di profitto, ma sopratutto tramite gli eventi accaduti in milioni di anni, fin da quando tutto era Pangea.
L'insieme dei dati geologici che Emiliano ci ha fornito, ha creato un ponte tra gli accadimenti lontani e quelli più recenti. Un ulteriore spunto per allargare lo sguardo fotografico di ogni singolo partecipante.

Poi, tramite lo sguardo di Gianantonio Battistella e la sua esperienza abbiamo potuto unirci alla sua ricerca della struttura e della sovrastruttura, organizzando i punti di vista: quello “esplorativo” e quello invece più “dialettico”.
A quest’ultimo siamo più riconoscenti, visto il suo essere “magico e ambiguo”, capace di di coesistere tra il visibile e gli ordini diversi dell’immaginazione, capace di celarsi tra gli interstizi che si nascondono tra i diversi scenari dell’umanamente osservabile.



© Alessandro Angeli 2024


Il gruppo di partecipanti, provenienti da varie parti d’Italia, era eterogeneo, di formazione ed approccio al media. Chi digitale, chi analogico, chi entrambi, chi basato sullo sviluppo istantaneo. Anche lo skill era diverso ma nonostante queste differenze, lo svolgimento e la sintesi finale apportata, coralmente, è apparsa positiva e accrescitiva per ognuno di loro, e di noi. Cosa di non poco conto, che mi porta a pensare che l’esperienza sia da ripetere e migliorare.

Qui allego di seguito una delle esperienze ... e anche qualche scatto prodotto dai partecipanti in queste due giornate.

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Tra i luoghi del Vajont
di Anna Zemella


© Anna Zemella 2024



“La mia è la voce di chi solitamente giunge in certi luoghi sull’onda di un’emozione estetica o spinta da un immediato interesse alla vita di chi li abita e alle tracce del loro vissuto.

 Ne nasce una fotografia che è frutto dell’intuito e della partecipazione emotiva e talvolta nel tempo matura in un progetto. 

E’ la modalità a me più consona ma che so essere rischiosa, perché quei ‘paletti di metodo’ che sempre ci sono suggeriti, possono essere in tal modo precari e oscillanti, creando interferenze e incoerenze nel lavoro fotografico. 

Proprio perché consapevole di questo, mi sono unita alla ricerca del gruppo LSIDT, pur rischiando di perdere quel diretto coinvolgimento che mi dà carica nell’avvio di un progetto ma conscia che ne avrei sentito beneficio nel costruire un mio metodo fotografico.

 Come ci hanno sottolineato i relatori, infatti, non si tratta di aderire a un linguaggio unico e universale, che per fortuna non esiste, ma di lavorare per costruire con maggiore consapevolezza il proprio.

 Lunga premessa per dire che in queste giornate di studio poco ho scattato ma molto ho imparato. 




© Vito Renò 2024


Gli elementi che hanno sotteso queste giornate sono stati la profondità e l’ampiezza del tempo, dello spazio, della comprensione: il vertiginoso tempo  geologico, di cui così chiaramente e appassionatamente ci ha parlato Emiliano Oddone; la profondità del suolo sotto di noi  con i tumultuosi sconvolgimenti del drammatico passato; la profondità delle riflessioni e dello sguardo di Gianantonio Battistella, nella sua relazione preparatoria e nel lento procedimento per la creazione dell’immagine con il banco ottico, una volta scelta con cura l’inquadratura e il ‘punto di ripresa’.




© Ketty Domesi 2024


In questa dimensione di ‘profondità’, i luoghi di cui tristemente si era sentito, letto e a volte studiato, hanno risuonato in modo diverso ed ogni traccia e ampio profilo hanno acquisito una forte e drammatica consistenza.

 Non un paesaggio da guardare, ma da capire e sentire attraverso la consapevolezza. La doverosa premessa per un buon progetto fotografico che si volge al territorio. Lentezza e profondità per giungere all’attimo dello scatto, all’unicità dell’immagine, questo il fascino e il valore di tale percorso.

 Un’ottima esperienza dunque dovuta anche alla qualità del variegato gruppo di studio, composto da chi  non considera la fotografia mero passatempo ed è scevro da protagonismi e supponenze. 

Compagni con cui si è giocato e scherzato tra un discorso serio e l’altro, complice la buona tavola, il buon vino e la sapiente organizzazione”.




© Sheila Bernard 2024



© Francesco Munaro 2024



© Federico Galli 2024



© Carlo Chiapponi 2024



© Santina Pompeo 2024



© Antonio Barbini 2024





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L'evoluzione del paesaggio Veneto - Debora Tosato

date » 01-02-2022

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tags » evoluzione, fotografia, pittura, paesaggio, debora, tosato,

L’evoluzione del paesaggio veneto dalla pittura rinascimentale alla fotografia contemporanea.
Incursioni e percorsi visivi

di Debora Tosato

Articolo apparso sul "Numero Zero" de La serena inquietudine del territorio


La visione del paesaggio nella fotografia contemporanea corrisponde a una moltitudine di istanze, depositarie di valori, vissuti e interrogativi, ed a una progettualità che privilegia la raffigurazione mimetica del dato reale, oppure – al contrario – la rivisitazione in chiave personale di quello stesso dato, riprodotto fuori contesto secondo un procedimento di astrazione interpretativa, al fine di costruire narrazioni a beneficio dell’osservatore, analogamente a quanto accadeva secoli fa con la pittura.
L’abitudine a scorrere simultaneamente con lo sguardo fotografie di paesaggi naturali e paesaggi urbani rischia talvolta di consumare e banalizzare la valenza esperienziale del processo visivo in una sequenza di fotogrammi privi di particolare significato per l’osservatore frettoloso, ormai abituato a cogliere solo il canone estetico e il valore assoluto della bellezza.
La fotografia, analogamente alla pittura, racconta le storie del proprio tempo, pertanto scoprirne il significato profondo – a prescindere da una valutazione stilistica e tecnica – diviene un esercizio mentale che presuppone la conoscenza del contesto entro cui si è prodotta quell’immagine.



Carpaccio, Storie di Sant'Orsola (particolare)


Le testimonianze pittoriche restituiscono al viaggiatore del presente una potenziale chiave di lettura per comprendere i luoghi e i paesaggi del passato, nei quali trovano singolare ambientazione scene e personaggi del mito e del sacro, portatori di contenuti e messaggi complessi, talvolta trasfigurati nelle sembianze di piante, fiori, frutti e animali – specialmente nel Rinascimento – che divengono portatori di significati simbolici.
L’irruzione del paesaggio nelle arti visive risale al Trecento con la lezione di Giotto alla Cappella degli Scrovegni a Padova, luogo nel quale l’architettura illusionistica e la rappresentazione naturalistica consacrano e attualizzano il messaggio profondo del divino, immerso nella nuova dimensione spaziale dell’universo figurato.
L’umanesimo filosofico e letterario di Giotto, Petrarca, Dante e Boccaccio si evolverà nel secolo successivo, manifestandosi con nuove forme anche nelle ambientazioni paesaggistiche di taluni spettacolari dipinti di Giovanni Bellini, come la Trasfigurazione di Cristo (Napoli, Museo di Capodimonte), il Crocifisso Niccolini di Camugliano (Prato, Palazzo Alberti), la Madonna del Prato (Londra, National Gallery) e la Pietà Donà delle Rose (Venezia, Gallerie dell’Accademia), che tanto colpiscono l’immaginario collettivo per la sorprendente verosimiglianza degli elementi naturali e degli edifici monumentali. Non si tratta di esercizi di virtuosismo o di abilità tecnica, quanto piuttosto dell’esito di una regia attenta a restituire la dimensione del quotidiano a quella non ordinaria della vita di Cristo, tradotta secondo formule compositive di gradimento per la devozione pubblica e privata, tramite una messa in scena degli elementi descrittivi che sarà materia d’indagine degli studi di iconologia e iconografia.
Lo straordinario fascino dei paesaggi dipinti – che rivela la medesima fedeltà degli erbari – non deve trarre in inganno sulla valenza del tema, isolato nei fondali e funzionale a una narrazione, come nella pittura di Giambattista Cima da Conegliano, fino a quando evolverà con un respiro diverso nel secolo successivo. La pittura del Cinquecento dichiara, di fatto, una vocazione alla monumentalità e una pastosità della materia più rispondenti ‘al naturale’, o almeno mostra un’interazione più intima tra figura e paesaggio, che acquisisce una diversa profondità atmosferica: lo testimoniano la pittura di Giorgione con la Tempesta (Venezia, Gallerie dell’Accademia), i Tre Filosofi (Vienna, Kunsthistorisches Museum), quella di Lorenzo Lotto con le varie redazioni del San Girolamo penitente, e ancora la maestria dell’arte di Tiziano Vecellio, a partire dal dipinto con Amor sacro e Amor profano (Roma, Galleria Borghese).
Si tratta, generalmente, di vedute idilliache, a volo d’uccello, talvolta popolate da figurette laboriose di viandanti, cavalieri, pescatori e contadini, che continueranno a mantenere il rango di comparse fino a quando il paesaggio diverrà un genere autonomo nel Settecento, tenendo tuttavia a mente l’eccezionale contributo – in anticipo sui tempi – della poetica di Jacopo Bassano.
L’artista può essere considerato come il primo pittore veneto ad avere conferito al paesaggio il senso profondo dell’epifania del sacro, specialmente nella trattazione dei temi della Natività e delle storie bibliche, ambientate nella campagna veneta, con spaccati di cucine e tavole imbandite di vettovaglie, animali, servitori e fantesche, a testimonianza del valore conferito alla vita contadina e al lavoro umile, che diviene il segno preponderante della rivelazione di Dio nelle rappresentazioni dell’autore e della sua fiorente bottega.
Il linguaggio di Jacopo Bassano resta originale e del tutto singolare nel contesto veneto, per la capacità di raccontare con naturalezza e partecipazione affettiva scenari e frammenti di vita domestica con acuto spirito di osservazione e spiccato realismo descrittivo. Il paesaggio veneto acquista, per la prima volta, il ruolo di attore protagonista a pari merito con i personaggi che popolano la scena, in un connubio così peculiare da essere riconosciuto come esempio ante litteram di pittura di genere.
Nel secondo Cinquecento si acuisce anche la consapevolezza del valore economico e sociale del territorio, legato all’importanza della produzione agricola e del lavoro nei campi, nell’ottica di una nuova concezione estetica e filosofica dell’abitare che influenza a livello architettonico e funzionale le forme e i contenuti delle ville venete, armoniosamente inserite nel paesaggio, del quale divengono parte integrante in un rapporto virtuoso che si riverbera anche negli apparati decorativi, caratterizzati da un gioco di aperture e rimandi a livello illusionistico tra interno ed esterno.


Cima da Conegliano, incredulità di San Tommaso (particolare)


Ne sono testimonianza esemplare Villa Barbaro a Maser (Treviso) e Villa dei Vescovi a Luvigliano (Padova), circondate dalle colline e rivestite all’interno da cicli di affreschi – realizzati rispettivamente da Paolo Veronese e Lambert Sustris – che concorrono a sottolineare, specialmente nelle vedute paesaggistiche, l’ariosità degli spazi e l’armonioso rapporto con la natura.
La pittura di paesaggio conquisterà lo status di genere vero e proprio solo nel Settecento, nell’acquisizione di una fisionomia e di una dignità che non erano state fino ad allora riconosciute e comprese pienamente, evidenziando al contempo caratteristiche di serialità legate alla tipologia della produzione, che diviene specialistica e si diversifica nelle formule del capriccio, della rovina, dell’arcadia, della tempesta di mare o della scena pastorale, congeniali al gusto collezionistico e al mercato dell’arte.
Il bellunese Marco Ricci, l’artista più originale e talentuoso, sarà il capofila di una schiera di specialisti come Giuseppe Zais, Francesco Zuccarelli e Antonio Diziani, che attraverseranno il secolo con le loro creazioni su piccolo e grande formato, pensate sia per le sontuose dimore del patriziato veneto che per abbellire le stanze di abitazioni e monasteri con scene di lessico familiare ambientate entro paesaggi bucolici, popolati di corsi d’acqua, lavandaie, pellegrini, viaggiatori, eremiti, ninfe, satiri e pastori con le greggi, come nel caso delle sei grandi tele a tema paesaggistico di Giuseppe Zais per l’alcova di Palazzo Mussato a Padova (ora presso il Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Padova). Il testimone sarà raccolto nel secolo successivo da Giuseppe Bernardino Bison e Ippolito Caffi, che idealmente porteranno avanti anche la tradizione della veduta urbana inaugurata da Antonio Canal detto il Canaletto, Bernardo Bellotto e Francesco Guardi.
La pittura di veduta, che tanto successo aveva incontrato nel Settecento, anticipa e precorre la fotografia per l’attitudine a riprodurre con estrema fedeltà – mediante l’uso della camera ottica – le piazze, le chiese, gli edifici monumentali, la laguna, e accompagnare a questi scorci, in particolare quelli veneziani, le scene di mercato, le feste, le processioni, le parate, in un binomio tra città e abitanti che trasmette allo spettatore il ritmo pulsante della vita quotidiana.
Il passaggio dalla pittura alla fotografia accompagnerà nell’Ottocento e nel Novecento un approccio alla visione che si lega all’esigenza di documentare in maniera tradizionale il paesaggio, secondo il punto di vista dell’osservatore che vive in un contesto sociale e culturale all’apparenza privo di dissonanze. Il messaggio che si può individuare nella produzione fotografica di taluni autori presuppone, invece, una diversa chiave di studio e di ricerca, che supera l’ottica dell’osservazione asettica dei luoghi, per individuare un elemento disturbante, un’alterazione o un dettaglio parlante che influenza l’occhio del fotografo, fino a trasformarne profondamente l’approccio descrittivo.
Tali tematiche sono state materia d’indagine critica e storiografica, che nel tempo ha prodotto anche una divulgazione della fotografia storica e di quella d’autore, inizialmente destinate quasi esclusivamente a una platea di specialisti.
L’attuale documentazione fotografica del paesaggio racchiude ancora una complessità di lettura e di interpretazione perché nei secoli è mutato con la medesima complessità il concetto stesso di paesaggio, da intendersi ora come esito della stratificazione e della trasformazione in divenire di un territorio.
Il paesaggio veneto è profondamente cambiato, rispetto alle origini, e nel tempo è cresciuta la consapevolezza civica sull’impatto ambientale dell’urbanizzazione disordinata, che ha segnato e continua a segnare in maniera evidente strade e viali, piazze, rotatorie, giardini, stazioni, periferie e nuclei abitativi.
La fotografia spesso ha il dono di catturare e fissare l’attimo del cambiamento, del disastro ambientale, della calamità, della presenza perturbante con la quale magari conviviamo ogni giorno, sottoposti a un’assuefazione che necessita invece di una coscienza vigile.
La sfida della moderna fotografia di paesaggio può essere pertanto individuata nella funzione sociale e culturale di osservare e raccontare, senza parole né messaggi cifrati, ma in forma di tracce, quel nodo così importante da divenire il protagonista delle nostre esistenze, attraversandole quotidianamente quasi in silenzio, con avvisaglie evidenti.


Carpaccio Storie di Sant'Orsola (particolare)


Il percorso che accompagna il paesaggio dalla pittura alla fotografia potrebbe essere ora interpretato come una involuzione o una rivoluzione, a seconda dei diversi punti di vista e della varietà dei linguaggi adottati. Sarebbe tuttavia una lettura riduttiva, in quanto quello stesso percorso si lega a un contesto che varia nel tempo, assumendo forme e significati sempre nuovi che rappresentano quel ‘visibile parlare’ così vicino al bisogno profondo e immediato di comunicazione e di condivisione.


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