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LSIDT Numero #03 - L'editoriale

date » 31-01-2024 01:27

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tags » Cecchinato, Angeli, editoriale, valico, fotografia, serena, inquietudine, veneto, arte,

Editoriale

di G. Cecchinato e A. Angeli





Passare il valico


Nella nostra regione, come in altri molti luoghi italiani, esistono, coabitano, si perpetuano delle criticità, con le quali co-esistiamo. Magari sono sempre state presenti da sempre, molte non troveranno soluzione, mentre altre magari, si.
Per noi sarà normale affrontare ciò, nella nostra quotidianità, per via dell’umana capacità di adattamento, benché tutto ciò continui a circondarci e ci spinga a porci dei quesiti sul progresso che stiamo vivendo.

Quest’anno l’esito della call #03 ci ha permesso di vedere molti progetti, veneti e non, che riguardano queste “serene inquietudini” e che ci hanno fatto avviare riflessioni e ragionamenti interessanti durante la loro visione.

La call indetta a febbraio aveva come obiettivo l’ottenimento di progetti che riguardassero temi quali: gli spazi urbani, il rapporto con il sacro, l’influenza del progresso sociale ed industriale nel territorio, ed infine i rapporti con il paesaggio odierno e le sue mutazioni.

Un’altra richiesta specifica di questa call era quella di affrontare i temi anche percorrendo vie alternative, ricorrendo ad esempio a metodi post-fotografici o creativi.
Era infatti nostro intento ricercare nuove vie di lettura per l’analisi dei territori tramite linguaggi più originali e più contemporanei.
Questo tipo di orientamento ha determinato una scelta precisa nella pubblicazione tra i progetti che ci sono pervenuti.
Inoltre, abbiamo accolto lavori fotografici che riguardano anche altri territori italiani, altre regioni, convinti che su di alcuni temi ci siano criticità similari a quelle del territorio veneto.

A settembre sono stati presentati 35 progetti molto diversi tra loro, ma tutti molto interessanti.
La scelta finale ci ha portato ad includerne 15 che, pensiamo, abbiano le caratteristiche di qualità ed interesse che stiamo ricercando per la crescita di questo progetto.

In quest’edizione, i testi di corredo alla rivista sono stati affidati a Roberto Beraldo presidente dell’Ordine APPC di Venezia e Riccardo Caldura direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Abbiamo inserito un’ intervista ad Allegra Martin fotografa conosciuta per i suo lavori di indagine sui territori ed un ulteriore intervista a Laura Sauchelli fatta da Nicola Nunziata.

I contenuti sono coerenti con la logica che ci ha indirizzato alla scelta dei progetti fotografici quella cioè delle riflessioni sul fotografico, sulla metodologia e sui possibili sviluppi dei linguaggi in funzione dell’analisi fotografica delle nostre terre.

I tempi sono maturi ed esiste una nuova via rispetto all’approccio originario instaurato con la “New Topography”? Noi pensiamo di sì.

Questo edizione #03, dopo l’esperienza e la crescita ottenuta nei tre precedenti numeri, rappresenta per noi un punto di svolta, un valico, che ci rendiamo conto essere molto critico perché non scontato né facile per il prosieguo dell’esperienza di questa pubblicazione, ma come spesso accade nelle circostanze di incertezza, confidiamo possa essere foriera di aspettative e buoni propositi da verificare con il tempo.

Passando questo valico confidiamo nella continuità di apporto da parte dei nostri membri, consolidando la scelta dell’attività corale di questo progetto che vorremo potesse essere sempre più partecipato, generante ed arricchente, ponendo fiducia nel mezzo dell’analisi fotografica dei territori come forma di confronto e di indagine sempre attuale ed efficiente.


Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
E' vietato ogni utilizzo o riproduzione anche parziale non espressamente autorizzato dall'autore.
Giovanni Cecchinato Fotografo - La serena inquietudine del territorio - All rights reserved - © 2024

Steve Bisson - Orizzonte corale

date » 12-10-2022 10:10

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tags » steve bisson, fotografia, veneto, corale, visione, serena, inquietudine, territorio, venezia,

Orizzonte corale e fraintendimento consapevole
di Steve Bisson


Articolo apparso all'interno della rivista #01




© Marco Vedana - Tra dirupi inverosimili e memorie sospinte - 2021


Per mezzo della fotografia, quale lente di ingrandimento per osservare e ricostruire una geografia sempre più antropomorfa, umanizzata. Un'attitudine trans-individuale che riconosce fondamento al sapere comune, all'unità degli sguardi, al pensare in rete di oggi. E sulla rete che gravita infatti l'intenzionalità di Giovanni Cecchinato e Alessandro Angeli che qui mi invitano ad una riflessione sommaria sulle pratiche collettive di indagine o appropriazione visiva del territorio, e nella quale prende corpo lo spazio poliforme e trasparente della condivisione. Pratiche dinamiche dello stare insieme, sentieri distinti nella forma, nel metodo e attitudini ma resi simili da una volontà di comunione. Che volendo può sedimentare altrove, ad esempio nell’esposizione in dialogo, in un catalogo sintetico, nello stare di nuovo ma fisicamente, come musicisti pronti a esercitarsi non nel proprio assolo bensì in un insieme accorto.
Anche da questa premessa, va letta la raccolta di immagini scelte in questa rivista. Ovvero e inoltre, nel bisogno di congiunzione, di ensemble miscellaneo, di pluralità come soggetto e attore della complessità. In questa volontà di collaborazione che filtra attraverso la superficie operativa del vedere, mediante un esercizio di espressione simbiotica la cui risultante, nel caso specifico, sono altrettante cognizioni sul paesaggio. Quello veneto. Acquisizioni di consapevolezza, conseguimenti personali che scaturiscono da un bisogno di dialogare con l’ambiente ancora prima che nel generare dati, che concorrono, senza per forza convergere, su un agire più ampio. Vedere quel che si fa includendo nell’indagine sé stessi e il proprio operare (con gli strumenti che usiamo e che ci formano e generano) con luminosa accettazione della trama inesorabile di cui siamo parte e di cui è parte il nostro muoverci, tutto e tutti assieme, nel mondo.
Mutuando suddette considerazioni su un piano algebrico, di spazi stiamo parlando, ogni contributo figura come equazione: ciascuna con le sue incognite da risolvere. E il fotografo diviene un vettore che manifesta una traiettoria più o meno feconda nello spazio, e interpretabile con una funzione, sebbene non sempre oggettiva, dei luoghi. Qui si rinviene allora una prima utilità per la ricerca associata alla fotografia intesa come comprensione anziché impressione. Quando poi lo sforzo da compiere è verso un orizzonte collettivo occorre esulare dalla grandezza o magnitudine vettoriale del singolo progetto. Se infatti i lavori presentano un comune denominatore possono essere apprezzati come spazi topologici in cui avvisare proprietà fondamentali e ricorrenti. Possiamo definirle forme di continuità talvolta fisiche, logiche o percettive.
A partire da tale domanda di senso, che si sostanzia nel racconto corale senza il quale non vi è trasmissione e nemmeno dimostrazione di sapere, si gettano le basi per una diversa cartografia del pensiero. Ciò esige nuova prassi geoscopica, con i piedi a terra e la coscienza vigile. Una capacità di ascolto, rappresentazione e integrazione responsabile del mondo delle differenze, altresì culturali, che riguardano tutti i corpi viventi e il loro modo di intendere. E poichè tanti sono i discorsi per immagini resi possibili dai progressi della tecnica e non tutti interpretabili da un metodo scientifico, per la loro intrinseca soggettività e imprecisione, allora urgono soluzioni per oltrepassare lo scoglio delle verifiche di obiettività empirica sulla via comune della conoscenza. Le pretese di veridicità hanno riguardato a lungo anche il dibattito della fotografia, rivelatosi poi un girotondo di parole. Di fatto i luoghi esistono ma sono pur sempre mentali, o meglio filtrati dai nostri dispositivi ottici e neurali, oltre che dai vissuti personali, emotivi. La lettura sui territori domanda perciò una vocazione inclusiva. In primis del noi stessi, non ci muoveremmo altrimenti se non per soddisfare bisogni primari. Saremmo l’ambiente, senza alcuna distanza, come per gli animali, senza necessità di trovare senso al nostro esserci, al nostro avere l’ambiente come altro da noi.
Dunque vale la pena riconoscere dietro l’immagine-trascrizione della realtà riproducibile, il movimento, la danza, la strategia, i corpi, insomma la vita di coloro che scritturano il cosmo per istantanee. E siamo sempre di più. Uno sconfinato “corpo di ballo” che inscena una gigantesca, vertiginosa e straordinaria possibilità di relazione e di fraintendimento consapevole su ciò che di ovvio ci circonda. Un’opportunità per accorgersi diversamente delle cose di cui è fatto il fiume eracliteo del divenire. Un muro, un recinto, una strada, una diga, un canale, una fabbrica, una chiesa, un quartiere, una città, una regione. Segni prodotti da gesti che occupano e marcano i territori. E che appaiono agli occhi diversi, infinite occasioni, perché ciascuno di noi lo è. Allora il fotografare può essere un modo per lasciarsi alle spalle scorie, tentativi e abbordaggi visivi di apprendimento, oppure per fare luce sulle ragioni nascoste, sulla vita anonima che si agita dietro le maschere del mondo. E farlo con una postura di serena accettazione dell’ospite inquietante come l'ossimoro che titola il progetto editoriale in questione.




© Paola Montagner 2021 Laguna di Venezia (VE)


Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
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La serena inquietudine del territorio - All rights reserved - © 2022

Gnessunlogo - Mostra al Mu.Pa.

Gnessulogo
Poesia Paesaggio Territorio

09 aprile 2022 - 24 luglio 2022
Museo del Paesaggio
S. Anna di Boccafossa - Torre di Mosto (VE)


"La serena inquietudine del territorio" all’interno di una ricerca artistica che supporta e si raccorda con l’opera ed il ricordo del poeta Andrea Zanzotto.

La mostra appena inaugurata al Museo del Paesaggio di San’Anna di Boccafossa, vuole essere un omaggio al lavoro del compianto poeta veneto, al suo interno, voci ed opere differenti, si uniscono nel tentativo di collimare il rapporto tra uomo, natura e paesaggio.



Come ricordato nello scritto di Dario Pinton (Curatore assieme a Luca Cecchetto dell’esposizione) il rapporto con il paesaggio non è mai stato così presente come ora nella cultura visiva contemporanea e di conseguenza il contributo del laboratorio / gruppo / esperienza editoriale de “la serena inquietudine del territorio” appare fondamentale e peculiare nel panorama veneto ed utile a visualizzare e capire gli ultimi pensieri del poeta.

Assieme alle opere di grandi fotografi internazionali, provenienti dal fondo privato del collezionista Dionisio Gavagnin, le opere di Sandro Battaglia, Gianantonio Battistella, Giovanni Cecchinato, Francesco Finotto, Toni Garbasso, Arcangeli Piai, Corrado Piccoli, contribuiscono alla mostra (nella sua sezione “questo progresso scorsoio”) un utile e funzionale spaccato sulla realtà attuale del territorio veneto.
Presente all'esposizione oltre alle Autorità anche il Direttore del Museo M9 di Mestre ed il collezionista (da cui proviene la maggioranza delle opere esposte) Dionisio Gavagnin.


Qui il link ufficiale dell'esposizione

Catalogo della mostra stampato da Edizioni Antiga

Museo del Paesaggio
Torre di Mosto - Località Boccafossa
10 aprile - 24 luglio 2022


Orari di apertura:
Sabato h 16 – 19
Domenica h 10 – 12 / 16 – 19

Visite guidate su prenotazione

https://museodelpaesaggio.ve.it


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Il paesaggio ed il territorio di Dionisio Gavagnin

date » 30-03-2022

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tags » paesaggio, territorio, dionisio, gavagnin, fotografia, veneto, serena, inquietudine, venezia,

Il paesaggio ed il territorio. La fotografia che vorremmo oggi




Lewis Hine, John Howell, 9 anni, Indianapolis, ago 1908 - courtesy Dionisio Gavagnin

Strana vita quella della fotografia, malleabile strumento tecnico con una identità poliforme e polivalente, adatta a tutti gli usi: nelle mani dell’economia essa è un potente strumento di persuasione (al lavoro, al consumo, all’investimento); in quelle della ideologia, di slancio, di elusione, di controllo, di illusione.
In quali altri mani? Dico: della scienza, e dell’arte: o, meglio, delle due cose insieme.
Perché insieme? Non si era detto che scienza e arte fossero due percorsi paralleli della conoscenza umana, talvolta giudicati inconciliabili, anzi, nemici?
Ma, è sempre stato così?
Non è qui il caso di ripercorrere, anche solo en passant, la lunga storia dell’avvicendarsi al potere delle classi sociali che hanno governato, nei cinque continenti, tribù, villaggi, città, stati. In tutti i casi si potrebbe comunque constatare che la fonte da cui scaturiscono l’innovazione e il cambiamento è costituita da un nuovo paradigma culturale elaborato dalla classe sociale emergente, costituito da una originale fusione di scienza ed arte: da una nuova visione e da una conseguente diversa azione sul mondo. Mi permetto, però, qui, di accennare solo ad un caso: l’emergere e l’affermarsi della classe borghese sulla aristocrazia feudale.
E’ vero che solo con la Rivoluzione francese si rende visibile il trapasso del potere politico-istituzionale dalla aristocrazia alla borghesia; ma tale evento era già pienamente germinato a partire dalle esperienze comunali in Italia (e simili nel resto d’Europa), ed il Rinascimento italiano non aveva fatto altro che suggerire e suggellare, con la applicazione sistematica della prospettiva nella configurazione architettonica ed urbanistica dello spazio, e nella rappresentazione della realtà nelle arti visive, una visione mercantile del mondo. Il paesaggio feudale, dagli spazi piatti e indefiniti, e reso spirituale dai “fondi oro” della pittura medioevale, diviene, ora, paesaggio laico, misurabile, funzionale alla produzione e ai commerci. Geometria e arte trovano così una vincente combinazione a formare una cultura progressista che, se tende a soppiantare l’egemonia della classe aristocratico-feudale, non muta affatto, se non nei modi della produzione e dello sfruttamento, le condizioni delle classi subalterne. Le successive scoperte scientifiche, con l’approccio metodologico sperimentale di Galileo e lo sviluppo del calcolo infinitesimale nella seconda metà del ‘600, ai quali corrisponde, non a caso, nelle arti e nelle lettere, la rivolta manierista e poi barocca, vanno a configurare idealmente un paesaggio sferico, tridimensionale, che ridefinisce lo spazio agibile verso la terza dimensione, verso l’alto: un teatro di luoghi ora anche celeste, cosmico, tendenzialmente sconfinato, che prelude alla volontà del capitale di assoggettare al principio del profitto l’intero creato.
Tra la seconda metà del ‘700 e i primi decenni dell’800, con l’Enciclopedia di Diderot e D’Alambert, l’opera immensa di von Humboldt, ed il Romanticismo (Caspar Friedrich docet), fenomeni culturali che costituiscono l’apice del pensiero progressista borghese, si afferma definitivamente il concetto di paesaggio, ed è un concetto “forte”, in grado di riassumere vita e visione in una unica dimensione fisica e spirituale che fonde lo spirito imprenditoriale capitalistico, tutto misura e mercato, con l’idea di Stato-nazione e con una nuova sensibilità estetica di impronta tecnico-scientifica. E, nel paesaggio borghese, popolo e patria diventano, ideologicamente, le linee di confine entro le quali le contraddizioni sociali vengono incanalate e costrette.
La fotografia fin quasi dalla sua invenzione, ed in particolare col perfezionamento di materiali e processi tecnici che ne faciliteranno la produzione e la diffusione, si troverà in prima linea nel corrispondere a questa concezione borghese di paesaggio. E’ tuttavia innegabile il contributo da essa fornito, a fianco delle scienze positiviste, alla conoscenza del territorio, o, per meglio dire, dei diversi paesaggi nazionali, e alla educazione e al diletto popolare. Basterebbe ricordare la storica Mission Héliographique (1851) sul primo fronte, e le pubblicazioni dell’editore fotografico Blanquart-Evrard (dal 1851) nell’altro.
Dalla seconda metà dell’800, con l’affermarsi della grande industria meccanizzata sopravviene la necessità per la classe borghese di intensificare via via il controllo sociale sul proletariato che si va organizzando in maniera antagonistica; e ciò impone un processo di differenziazione funzionale del sistema culturale in direzione di un affinamento, di una specializzazione, della strumentazione ideologica. Ormai esauritasi la spinta innovativa del nativo connubio borghese arte-scienza che aveva caratterizzato il lungo percorso intrapreso dalle borghesie nazionali verso la conquista del potere politico-statale, con il positivismo la scienza si istituzionalizza e si frammenta in discipline improntate al pragmatismo, mentre nelle arti incominciano a prevalere l’accademismo e le rappresentazioni di genere. In questo contesto culturale, alla fotografia viene assegnata una duplice funzione: da un lato, quella di ancella delle scienze positiviste, col compito di costringere visivamente il reale (il presunto incontrovertibile reale della fotografia) entro la struttura sociale vigente, riducendo il territorio-mondo, e le sue infinite possibilità creative e di relazione, ad un insieme di paesaggi-merce inventariati e catalogati per genere ed utilità economica; dall’altro quella del diletto e dello svago.
Ma, per fortuna, l’arte, la vera arte, non si piega mai all’ideologia.


Villa Liccer, San Fior, Conegliano (TV) mag 2020 © Corrado Piccoli

Nel mio Fini & Confini. Il territorio nell’arte fotografica (Campanotto Editore, 2018) ho provato a riscrivere la storia della “fotografia di paesaggio” dal versante, ormai abbandonato dalla cultura borghese, del dissenso e dell’innovazione; il quale corrisponde ad un approccio metodologico realmente scientifico alla realtà, o, per meglio dire, ad una ricombinazione aggiornata di arte e scienza basata sull’analisi/intuizione delle laceranti contraddizioni del sistema socio-economico capitalistico.
Individuavo nel mio libro quattro diversi atteggiamenti critico-creativi emergenti nell’arte fotografica da quel versante: l’astrazione dal reale verso la forma pura; l’approccio sistemico alla realtà; le visioni affettive (il tragico e il cinico); e la fotografia concettuale.
In tali atteggiamenti rintracciavo alcune comuni qualità che rendono un manufatto (ed anche la fotografia) un’opera d’arte: passione per la verità, partecipazione attiva, esuberanza regolata dallo stile, divertimento.
Se si studia con la necessaria attenzione (con passione) la produzione dei grandi artisti della fotografia del territorio quali, ad esempio, il Marville del progetto sull’arredo urbano di Parigi (1861-1878 ca.); l’Emerson dei Marsh Leaves (1895); Edward Weston con i suoi patterns naturali come stratificazione di un tempo sociale (lezione che farà poi propria meravigliosamente Mario Giacomelli); Jacob Riis con la sua indagine tra gli Slums di New York (How the Orher Half Lives: Studies Among the Tenements of New York, 1897); Lewis Hine, testimone di un paesaggio industriale che, ancora nei primi decenni del ‘900, non esita avidamente a sfruttare il lavoro minorile; Jean Painlevè (ingiustamente oggi dimenticato) con le sue creature marine (nel periodo tra le due guerre); Walker Evans del progetto FSA, e i suoi “allievi” più dotati, Robert Frank e Lee Friedlander; Ed Ruscha con i suoi irridenti ed inutili libretti di inventari urbani e suburbani; e, ancora, i fotografi della New Topography, con in testa Lewis Baltz e Stephen Shore; Allan Sekula con la sua precoce denuncia (il suo Fish Story è del 1995) dei guasti di un capitalismo globalizzato; sino alle punte più avanzate della ricerca fotografica in Italia a partire dal secondo dopoguerra, e tra questi, Ugo Mulas, Luca Maria Patella, Luigi Ghirri, Mario Cresci, Franco Vaccari, Guido Guidi, Paolo Gioli; si scoprirà come in essi l’arte si combini sempre con una conoscenza ed una strumentazione scientifica di avanguardia, e come la tecnologia, lungi dal divenire in essi apparato di controllo sociale, venga ricombinata e rivolta all’innovazione.
Infine, è questa la fotografia che vogliamo: una fotografia che sappia sconfinare oltre i paesaggi della norma e dell’abitudine, e che prefiguri, dall’interno della dialettica sociale, un territorio libero, vivibile e creativo per tutti: una fotografia innovativa, una fotografia militante.



Dionisio Gavagnin, (Venezia 1950), Dottore in Economia e Commercio, ha una lunga esperienza lavorativa come dirigente in grandi aziende multinazionali italiane ed estere. Assieme all’insegnamento universitario e manageriale, ha da sempre coltivato l’interesse per la letteratura, l’arte moderna e contemporanea e la fotografia. E’ autore di raccolte di poesia e di saggi con Campanotto Editore ( di cui Homini &Domini, il corpo nell’arte fotografica e Fini & Confini, il territorio nell’arte fotografica). E’ autore di numerosi saggi e collabora fattivamente con importanti riviste d’arte. Ha curato negli ultimi anni varie esposizioni artistiche importanti.

LSIDT Numero #01 - L'editoriale

_DSF3286.jpgLSIDT - Numero 01 -

La serena inquietudine del territorio #01
5 gennaio 2022

Sono trascorsi quasi due anni da quando abbiamo intrapreso l’intento di raccontare la regione veneta tramite le immagini di un laboratorio che si trova virtualmente su di una pagina Facebook.
Oltre alla rivista pilota (di fine 2020) che abbiamo identificato come “numerozero”, è emerso e si è consolidato l’impegno di proseguire coralmente nel cammino, mirando ad obiettivi specifici e comuni a tutti gli appartenenti al gruppo.
In questo passato 2021, i progetti dei membri de “La serena inquietudine del territorio” sono stati esposti in due occasioni; la prima al Museo del Paesaggio di Torre di Mosto (VE) e la seconda presso la Galleria I. Battistella di San Donà di Piave (VE).
In entrambi i casi con afflussi ed interesse del pubblico al di sopra delle aspettative, godendo anche del plauso delle Amministrazioni ospitanti.
Questo ha confermato la bontà dell’idea e la sua necessaria continuazione. E, di certo, non sembrava giusto fermarsi dopo che era stato avviato questo percorso di indagine sul territorio Veneto tramite argomenti, modalità di approccio, linguaggi espressivi diversi. Linguaggi che si muovono tra citazioni e metodi consolidati da decenni ed altri che hanno un'estrazione più contemporanea, post-fotografica.
Siamo coscienti della necessità di operare in forma di ‘laboratorio’, di aprire lo sguardo alla multidisciplinarità, di indagare il Veneto guardandolo con una coralità di sguardi, come un equipaggio in una traversata, ognuno con il proprio vissuto ma convinto di una rotta comune. Affrontando gli spazi, non solamente quelli aperti dei paesaggi personali (che siano naturali, antropizzati, od urbani, poco importa) ma anche rivolgendo lo sguardo all’abitato, agli spazi interni del costruito che lo compongono, includendo le persone che lo vivono e vi dimorano.
In questo numero la nuova veste grafica, che dà maggior corpo ai progetti dei singoli autori, rafforza l’intento di raccontare i luoghi in divenire, ma anche, dunque, gli “habitat vissuti”, cercando di sondare due temi principalii: l’acqua e il paesaggio umano, sociale (del “social landscaping” per usare un termine caro ai più tecnici).
Fotografie e progetti che metaforicamente misurano il rapporto tra l’uomo e gli spazi che egli stesso modifica con azioni virtuose o dannose che speriamo, in questo progetto corale, possano servire come spunti di riflessione.
Corredano la rivista le considerazioni di illustri collaboratori (membri del laboratorio) come Steve Bisson, Francesco Finotto e Franco Tanel.
Infine, nella parte conclusiva della rivista sono stati raggruppati estratti di progetti autoriali, che pur non essendo in linea con le due principali tematiche trattate in questo numero ci sono parsi interessanti punti di vista rappresentativi dell’attualità della regione che viviamo.



G.Cecchinato e A.Angeli

www.laserenainquietudinedelterritorio.it
lab@laserenainquietudinedelterritorio.it

L'evoluzione del paesaggio Veneto - Debora Tosato

date » 01-02-2022

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tags » evoluzione, fotografia, pittura, paesaggio, debora, tosato,

L’evoluzione del paesaggio veneto dalla pittura rinascimentale alla fotografia contemporanea.
Incursioni e percorsi visivi

di Debora Tosato

Articolo apparso sul "Numero Zero" de La serena inquietudine del territorio


La visione del paesaggio nella fotografia contemporanea corrisponde a una moltitudine di istanze, depositarie di valori, vissuti e interrogativi, ed a una progettualità che privilegia la raffigurazione mimetica del dato reale, oppure – al contrario – la rivisitazione in chiave personale di quello stesso dato, riprodotto fuori contesto secondo un procedimento di astrazione interpretativa, al fine di costruire narrazioni a beneficio dell’osservatore, analogamente a quanto accadeva secoli fa con la pittura.
L’abitudine a scorrere simultaneamente con lo sguardo fotografie di paesaggi naturali e paesaggi urbani rischia talvolta di consumare e banalizzare la valenza esperienziale del processo visivo in una sequenza di fotogrammi privi di particolare significato per l’osservatore frettoloso, ormai abituato a cogliere solo il canone estetico e il valore assoluto della bellezza.
La fotografia, analogamente alla pittura, racconta le storie del proprio tempo, pertanto scoprirne il significato profondo – a prescindere da una valutazione stilistica e tecnica – diviene un esercizio mentale che presuppone la conoscenza del contesto entro cui si è prodotta quell’immagine.



Carpaccio, Storie di Sant'Orsola (particolare)


Le testimonianze pittoriche restituiscono al viaggiatore del presente una potenziale chiave di lettura per comprendere i luoghi e i paesaggi del passato, nei quali trovano singolare ambientazione scene e personaggi del mito e del sacro, portatori di contenuti e messaggi complessi, talvolta trasfigurati nelle sembianze di piante, fiori, frutti e animali – specialmente nel Rinascimento – che divengono portatori di significati simbolici.
L’irruzione del paesaggio nelle arti visive risale al Trecento con la lezione di Giotto alla Cappella degli Scrovegni a Padova, luogo nel quale l’architettura illusionistica e la rappresentazione naturalistica consacrano e attualizzano il messaggio profondo del divino, immerso nella nuova dimensione spaziale dell’universo figurato.
L’umanesimo filosofico e letterario di Giotto, Petrarca, Dante e Boccaccio si evolverà nel secolo successivo, manifestandosi con nuove forme anche nelle ambientazioni paesaggistiche di taluni spettacolari dipinti di Giovanni Bellini, come la Trasfigurazione di Cristo (Napoli, Museo di Capodimonte), il Crocifisso Niccolini di Camugliano (Prato, Palazzo Alberti), la Madonna del Prato (Londra, National Gallery) e la Pietà Donà delle Rose (Venezia, Gallerie dell’Accademia), che tanto colpiscono l’immaginario collettivo per la sorprendente verosimiglianza degli elementi naturali e degli edifici monumentali. Non si tratta di esercizi di virtuosismo o di abilità tecnica, quanto piuttosto dell’esito di una regia attenta a restituire la dimensione del quotidiano a quella non ordinaria della vita di Cristo, tradotta secondo formule compositive di gradimento per la devozione pubblica e privata, tramite una messa in scena degli elementi descrittivi che sarà materia d’indagine degli studi di iconologia e iconografia.
Lo straordinario fascino dei paesaggi dipinti – che rivela la medesima fedeltà degli erbari – non deve trarre in inganno sulla valenza del tema, isolato nei fondali e funzionale a una narrazione, come nella pittura di Giambattista Cima da Conegliano, fino a quando evolverà con un respiro diverso nel secolo successivo. La pittura del Cinquecento dichiara, di fatto, una vocazione alla monumentalità e una pastosità della materia più rispondenti ‘al naturale’, o almeno mostra un’interazione più intima tra figura e paesaggio, che acquisisce una diversa profondità atmosferica: lo testimoniano la pittura di Giorgione con la Tempesta (Venezia, Gallerie dell’Accademia), i Tre Filosofi (Vienna, Kunsthistorisches Museum), quella di Lorenzo Lotto con le varie redazioni del San Girolamo penitente, e ancora la maestria dell’arte di Tiziano Vecellio, a partire dal dipinto con Amor sacro e Amor profano (Roma, Galleria Borghese).
Si tratta, generalmente, di vedute idilliache, a volo d’uccello, talvolta popolate da figurette laboriose di viandanti, cavalieri, pescatori e contadini, che continueranno a mantenere il rango di comparse fino a quando il paesaggio diverrà un genere autonomo nel Settecento, tenendo tuttavia a mente l’eccezionale contributo – in anticipo sui tempi – della poetica di Jacopo Bassano.
L’artista può essere considerato come il primo pittore veneto ad avere conferito al paesaggio il senso profondo dell’epifania del sacro, specialmente nella trattazione dei temi della Natività e delle storie bibliche, ambientate nella campagna veneta, con spaccati di cucine e tavole imbandite di vettovaglie, animali, servitori e fantesche, a testimonianza del valore conferito alla vita contadina e al lavoro umile, che diviene il segno preponderante della rivelazione di Dio nelle rappresentazioni dell’autore e della sua fiorente bottega.
Il linguaggio di Jacopo Bassano resta originale e del tutto singolare nel contesto veneto, per la capacità di raccontare con naturalezza e partecipazione affettiva scenari e frammenti di vita domestica con acuto spirito di osservazione e spiccato realismo descrittivo. Il paesaggio veneto acquista, per la prima volta, il ruolo di attore protagonista a pari merito con i personaggi che popolano la scena, in un connubio così peculiare da essere riconosciuto come esempio ante litteram di pittura di genere.
Nel secondo Cinquecento si acuisce anche la consapevolezza del valore economico e sociale del territorio, legato all’importanza della produzione agricola e del lavoro nei campi, nell’ottica di una nuova concezione estetica e filosofica dell’abitare che influenza a livello architettonico e funzionale le forme e i contenuti delle ville venete, armoniosamente inserite nel paesaggio, del quale divengono parte integrante in un rapporto virtuoso che si riverbera anche negli apparati decorativi, caratterizzati da un gioco di aperture e rimandi a livello illusionistico tra interno ed esterno.


Cima da Conegliano, incredulità di San Tommaso (particolare)


Ne sono testimonianza esemplare Villa Barbaro a Maser (Treviso) e Villa dei Vescovi a Luvigliano (Padova), circondate dalle colline e rivestite all’interno da cicli di affreschi – realizzati rispettivamente da Paolo Veronese e Lambert Sustris – che concorrono a sottolineare, specialmente nelle vedute paesaggistiche, l’ariosità degli spazi e l’armonioso rapporto con la natura.
La pittura di paesaggio conquisterà lo status di genere vero e proprio solo nel Settecento, nell’acquisizione di una fisionomia e di una dignità che non erano state fino ad allora riconosciute e comprese pienamente, evidenziando al contempo caratteristiche di serialità legate alla tipologia della produzione, che diviene specialistica e si diversifica nelle formule del capriccio, della rovina, dell’arcadia, della tempesta di mare o della scena pastorale, congeniali al gusto collezionistico e al mercato dell’arte.
Il bellunese Marco Ricci, l’artista più originale e talentuoso, sarà il capofila di una schiera di specialisti come Giuseppe Zais, Francesco Zuccarelli e Antonio Diziani, che attraverseranno il secolo con le loro creazioni su piccolo e grande formato, pensate sia per le sontuose dimore del patriziato veneto che per abbellire le stanze di abitazioni e monasteri con scene di lessico familiare ambientate entro paesaggi bucolici, popolati di corsi d’acqua, lavandaie, pellegrini, viaggiatori, eremiti, ninfe, satiri e pastori con le greggi, come nel caso delle sei grandi tele a tema paesaggistico di Giuseppe Zais per l’alcova di Palazzo Mussato a Padova (ora presso il Museo d’Arte Medioevale e Moderna di Padova). Il testimone sarà raccolto nel secolo successivo da Giuseppe Bernardino Bison e Ippolito Caffi, che idealmente porteranno avanti anche la tradizione della veduta urbana inaugurata da Antonio Canal detto il Canaletto, Bernardo Bellotto e Francesco Guardi.
La pittura di veduta, che tanto successo aveva incontrato nel Settecento, anticipa e precorre la fotografia per l’attitudine a riprodurre con estrema fedeltà – mediante l’uso della camera ottica – le piazze, le chiese, gli edifici monumentali, la laguna, e accompagnare a questi scorci, in particolare quelli veneziani, le scene di mercato, le feste, le processioni, le parate, in un binomio tra città e abitanti che trasmette allo spettatore il ritmo pulsante della vita quotidiana.
Il passaggio dalla pittura alla fotografia accompagnerà nell’Ottocento e nel Novecento un approccio alla visione che si lega all’esigenza di documentare in maniera tradizionale il paesaggio, secondo il punto di vista dell’osservatore che vive in un contesto sociale e culturale all’apparenza privo di dissonanze. Il messaggio che si può individuare nella produzione fotografica di taluni autori presuppone, invece, una diversa chiave di studio e di ricerca, che supera l’ottica dell’osservazione asettica dei luoghi, per individuare un elemento disturbante, un’alterazione o un dettaglio parlante che influenza l’occhio del fotografo, fino a trasformarne profondamente l’approccio descrittivo.
Tali tematiche sono state materia d’indagine critica e storiografica, che nel tempo ha prodotto anche una divulgazione della fotografia storica e di quella d’autore, inizialmente destinate quasi esclusivamente a una platea di specialisti.
L’attuale documentazione fotografica del paesaggio racchiude ancora una complessità di lettura e di interpretazione perché nei secoli è mutato con la medesima complessità il concetto stesso di paesaggio, da intendersi ora come esito della stratificazione e della trasformazione in divenire di un territorio.
Il paesaggio veneto è profondamente cambiato, rispetto alle origini, e nel tempo è cresciuta la consapevolezza civica sull’impatto ambientale dell’urbanizzazione disordinata, che ha segnato e continua a segnare in maniera evidente strade e viali, piazze, rotatorie, giardini, stazioni, periferie e nuclei abitativi.
La fotografia spesso ha il dono di catturare e fissare l’attimo del cambiamento, del disastro ambientale, della calamità, della presenza perturbante con la quale magari conviviamo ogni giorno, sottoposti a un’assuefazione che necessita invece di una coscienza vigile.
La sfida della moderna fotografia di paesaggio può essere pertanto individuata nella funzione sociale e culturale di osservare e raccontare, senza parole né messaggi cifrati, ma in forma di tracce, quel nodo così importante da divenire il protagonista delle nostre esistenze, attraversandole quotidianamente quasi in silenzio, con avvisaglie evidenti.


Carpaccio Storie di Sant'Orsola (particolare)


Il percorso che accompagna il paesaggio dalla pittura alla fotografia potrebbe essere ora interpretato come una involuzione o una rivoluzione, a seconda dei diversi punti di vista e della varietà dei linguaggi adottati. Sarebbe tuttavia una lettura riduttiva, in quanto quello stesso percorso si lega a un contesto che varia nel tempo, assumendo forme e significati sempre nuovi che rappresentano quel ‘visibile parlare’ così vicino al bisogno profondo e immediato di comunicazione e di condivisione.


La serena inquietudine del territorio - Esposizione a San Donà di Piave

date » 22-11-2021 18:59

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tags » Serena, inquietudine, san donà, esposizione, battistella, venezia, fotografia,



“La serena inquietudine del territorio”

Ricognizioni sul paesaggio veneto
San Donà 6/21 novembre 2021
A cura di Giovanni Cecchinato ed Alessandro Angeli
Organizzazione a cura di Culturaincorso e dell'Amministrazione della Città di San Donà di Piave (VE).


“La serena inquietudine del territorio” è un gruppo di fotografi, scrittori, architetti, giornalisti, critici, editori, che si propone di ricercare fotograficamente le “serene inquietudini “ del territorio veneto, tramite un laboratorio virtuale che si trova su FB. L’obiettivo di queste analisi non è polemico o retorico, tanto quanto spunto per una più ampia riflessione sulle evoluzioni dei luoghi che viviamo e tenta di indurre a dei ragionamenti costruttivi in questa regione che sta attuando una veloce metamorfosi da un attitudine rurale e contadina ad una più industrial/commerciale purtroppo non sempre pianificata e a volte vittima di speculazioni.
Ed anche se tale obiettivo di gruppo non dovesse essere raggiunto, noi pensiamo che i lavori eseguiti, potranno essere di documento e di ricordo per momenti futuri.

In questa esposizione, anticipatrice del numero 1 della rivista (e modificata come intenti del progetto iniziato con il numero pilota 0) i lavori proposti non sono più solo attenti al paesaggio modificato dall’uomo ma vi si inserisce l’analisi antropologica stessa, o del paesaggio sociale, come nuovo metodo di racconto.
Una diversificazione ed una ricerca che ci permette di raggruppare stili e tecniche diverse in un unico contesto, permettendo di valorizzare l’obiettivo di questo gruppo che segue i pensieri tradizionali delle scuole di riferimento nell’indagine dei paesaggi, ma accetta e supporta nuove forme di visione più consone ai tempi che viviamo.



La serena inquietudine del territorio - San Donà di Piave - Inaugurazione del 6 novembre 2021
F. Morassutto, M. Fogarolo, A. Angeli, G. Cecchinato, F. Finotto, Ass. Chiara Polita, G. Rado, G. Meneghetti, C. Chiapponi, P. Montagner, E. Bozzi


Una veloce sinossi dei progetti che sono stati esposti anticipatori del LSIDT #01

Giancarlo Rado
con “Centro Sociale Django” ci illustra un progetto sviluppato in un tempo molto ampio. Un esempio di un riutilizzo virtuoso di luoghi abbandonati all’interno della città di Treviso. Come vengono re-inventati e come sono ri-abitati.

Sara Pellizzer
Con “Gente di Fiume” tende a comprendere se esiste e quale è la relazione tra le persone che vivono o trascorrono parte del loro tempo lungo le rive del fiume e il ruolo contemporaneo che invece, ad oggi, svolge il Piave, un ruolo fortemente diversificato dai tempi della guerra, forse scomparso e che a causa delle problematiche relative alla sua salvaguardia, lo portano ad essere succube del suo tempo presente.



Samantha Banetta
Il progetto “Scuola Covid” si propone di indagare gli effetti sociologici della pandemia da Covid-19 su di un gruppo di studenti della scuola superiore della provincia veneziana nel periodo di transizione tra la didattica a distanza e il graduale rientro in aula in presenza.

Graziella Pagotto
Tramite il progetto complesso “Fitodepurazione” la Pagotto indaga e studia le modalità alternative di depurazione tramite le piante acquatiche. Un esempio virtuoso di depurazione che nel progetto totale vede storia , impianti ed un erbario (qui esposto parzialmente) a corredo del lavoro.



Paola Montagner
Con il progetto “My-Loc” Paola Montagner usa i mezzi di visione tramite satellite messi a disposizione da Google, per estrarne porzioni di suolo e adattarle ad una visione formale ed estetizzante. Esempio di uso delle tecniche post-fotografiche, che seppur non prodotte direttamente dall’autore, vengono manipolate e reinterpretate parlando comunque del territorio.

Fabio Morassutto
Con un estratto di due lavori differenti, studia ed interpreta i risvolti di una città che convive con l’acqua, come Venezia, estraendole dall’immaginario collettivo e fornendo delle visioni personali.

Marco Vedana
Tedesco con radici venete, nei suoi ritorni in regione, vede e rivede i luoghi montani di origine, estraendone criticità e bellezza, unendo le due visioni e creando sempre delle immagini di poetica bellezza ma anche creatrici di riflessioni.



Eliana Bozzi
Con il progetto “Derma” indaga la vita dell’isola di Pellestrina, avvicinando persone e cose. Tracciando una mappa del luogo, non nel senso ampio e letterale del termine, ma trovandone un microcosmo interno e facendo diventare tutto pelle.

Carlo Chiapponi
Con il progetto “Acque Risorgive” ci porta una visione riunita in dittici verticali, che rivelano nuove prospettive e nuove interpretazioni, nel cammino che queste acque fanno tra le sorgenti e la foce. Costrette da limiti cementizi ed infrastrutture di sfruttamento energetico. Passando dallo stato cristallino, via a via quello più torbido.

Giorgio Meneghetti
Con il progetto “Acque interne” anch’egli adopera il dittico come elemento di misurazione del tempo. Esaminando i corsi d’acqua interni della città di Padova, ne estrae il passare delle ore, assieme a tutti i riaffioramenti che mano a mano rendono questi limiti anfibi e sempre mutevoli.



Francesco Finotto
Con “Idrovore - Viaggio in bonifica” ci illustra e rappresenta i manufatti delle idrovore presenti nella Venezia Orientale, che rappresentano vita e sopravvivenza delle terre interne, strumento indispensabile alla continuità delle colture e della vita quotidiana.

Marco Fogarolo
Con “L’incompiuta” percorre il tragitto mai completato dell’idrovia Padova-Venezia, fermandosi. In luoghi dove l’incompleto è evidente e convive con il quotidiano, esempio classico di serena inquietudine.



Tutti questi progetti saranno maggiormente visibile assieme ad altri nel prossimo numero de “LSIDT” acquistabile nel sito web che porterà lo stesso nome.



Tutti i testi e le foto sono protette da copyright.
E' vietato ogni utilizzo o riproduzione anche parziale non espressamente autorizzato dall'autore.
La serena inquietudine del territorio - All rights reserved - © 2021




La rivista, il numero zero

date » 23-11-2021 15:48

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Le ragioni ed i propositi del progetto de
“La serena inquietudine del territorio”






Paesaggio
Porzione di territorio considerata
dal punto di vista prospettico o descrittivo,
per lo più con un senso affettivo cui può
più o meno associarsi anche un’esigenza
di ordine artistico ed estetico(1)



Era il 2008 quando, riflettendo sulla trasformazione della mia città e della mia regione, mi venne in mente questo ossimoro, quello relativo ad una ‘serena inquietudine’. Una sorta di maschera, che pervade il luogo che abito. Che si vorrebbe essere fatto a misura d’uomo, abitabile, ergonomico, studiato a priori. Che invece risulta essere costruito per strati, a posteriori, con vari impedimenti e poco razionale. Ma si vive, per forza, facendo ‘buon viso a cattivo gioco’. Così, a quel tempo, pensai di avviare un progetto di indagine fotografica sul territorio veneziano che tentasse di restituire quella sensazione.
Questa idea si arrestò poco dopo, per via della sua trasformazione in quello che sarebbe diventato poi “Evolutio Visio - Mestre 2015” un progetto specifico sulla città di Mestre che andava a confrontarsi con il lavoro di Gabriele Basilico, da lui effettuato 15 anni prima sul territorio mestrino. Lavoro esposto in più occasioni ed in più parti d’Italia, che aveva come fulcro una visione della città di Mestre che si poteva considerare come ‘città media’ e, di conseguenza, archetipo di molte altre realtà urbane. Città che si era evoluta, città che si era cristallizzata.
Ripresi quell’ossimoro e divenne una realtà quando, nel 2016, decisi di creare una pagina sul social Facebook con quel titolo, che mi auguravo riunisse autori che, sposando questa visione, sviluppassero nuove indagini, allargandone il campo a tutto il Veneto. Non avrei mai sperato in tanta partecipazione e interesse, avvenuti con il totale entusiasmo da parte di tutti i partecipanti a questo progetto.
Vista poi la quantità di materiale prodotto dai singoli autori, in quest’anno di reclusioni casalinghe dovute alla pandemia ho pensato che ci si potesse avvicinare al concetto di “patronato ideologico”(2) mirando a uno sviluppo tangibile del materiale migliore postato sulla pagina e, vista la mancanza di due dei tre soggetti principali necessari ad indagini similari, cioè una committenza pubblica ed il soggetto mediatore, mi sembrava fosse una buona idea quella di sviluppare con tutte queste fotografie una rivista cartacea, non più indagine personale ma di ricerca di gruppo, autoprodotta ed autogestita.
Oggi qui, tutti assieme, prendiamo in mano il risultato finale di quell’idea iniziale, cercando di abbozzare quella “iconografia dell’incerto”(3) che nella sua multiforme estensione ed eterogeneità assume una rilevanza rispetto alla visione di ogni singolo autore. Una mappatura di ‘luoghi minori e non’, di una parte delle province venete (purtroppo non tutte) che in questa fase ‘pilota’ tenta di indagare non solo la poetica ma anche la malasorte degli spazi urbani e rurali, dove la destinazione ad una ‘lettura’ a posteriori potrebbe diventare utile per chi effettivamente può (e dovrebbe) darne una soluzione.
Mi auguro che possa esserci in futuro l’opportunità di continuare ad indagare e riflettere sulla nostra regione (definita così solo in termini ‘di territorio’ e di progetto, e senza nessuna visione campanilistica). Regione che, come molte altre, ‘inquietamente’ continua a sopravvivere sotto una sorta di ‘serena’ superficiale normalità.
E alla fine di tutto questo progetto (lo spero vivamente) potrebbe accadere che “saremo riusciti a capire quello che stavamo cercando solo dopo averlo trovato”.(4)
In conclusione, e osservando il risultato finale di questo numero “0” (per cui, ripeto, assolutamente ‘pilota’), mi rendo conto che un impianto fotografico cosi eterogeneo e diverso, per stili ed espressione, non debba assolutamente intendersi come definitivo o esaustivo, ma mi auguro sia prodromico a pubblicazioni successive con obiettivi specifici, e che diventi uno strumento utile a interpretare i luoghi che in questo piccolo spazio temporale ci sono stati dati (‘concessi’) da vivere, ricordando il pensiero che Luigi Ghirri fece a riguardo dell’ambiente, che già negli anni ’70/’80 mutava, ed era già “un disastro visivo colossale”, quindi, oggi, con il nostro esame fotografico, proveremo ad apportare a tutto ciò una ‘critica’ in maniera dialettica e non come facendone un ‘assunto’.(5)

Giovanni Cecchinato


Il magazine è acquistabile qui sulla piattaforma di Blurb


Note
(1) Dionisio Gavagnin, Fini & Confini - Dal Paesaggio al Territorio, dal catalogo dell’omonima mostra al MuPa;
(2) William Guerrieri, La fotografia come pratica culturale, p. 209, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(3) Malvina Borgherini, Sul mostrare, p. 57, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(4) Jo Nesbø, L’uomo di neve, cit. da Stefano Munarin in Territorio, urbanistica, fotografia: una piccola storia tra autobiografia e vicende collettive, da PhotoPaysage, ed. Quodlibet;
(5) Luigi Ghirri, Lezioni di fotografia, p. 54, ed. Quodlibet.
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